Partiamo da una domanda: perché storicamente il riale Vallone a Biasca ha sempre prodotto dei pericoli per la sicurezza delle persone oltre che dei beni materiali, proprio a partire dalla Büza del 1512-1515, che aveva rimodellato il territorio in modo vistoso ?
Lo scoscendimento del Monte Crenone del 1513 con la conseguente formazione di un lago e la catastrofica tracimazione di questo due anni dopo (la Büzza di Biasca), ha creato all’imbocco della valle di Blenio una situazione morfologica particolare, che ha da allora influenzato in modo determinante il comportamento dei corsi d’acqua, Brenno e riale Vallone. Non è possibile capire la particolarità di questo fatto senza considerare le caratteristiche morfologiche del profilo della valle in questo punto. Dobbiamo chiederci, per capire, come sarebbero i due corsi d’acqua se non ci fosse stata la Büza.
Questi fattori relativi alle caratteristiche del territorio in questione sono stati, nel passato, all’origine di scelte operative importanti da parte dell’ente pubblico, nel quadro dei lavori di correzione e arginature sui corsi d’acqua che il Cantone Ticino ha intrapreso dalla seconda metà dell’Ottocento in poi. Ricordiamo che sul Brenno e sul Ticino, all’inizio del Novecento, sono stati operati interventi decisivi di arginatura, che hanno modificato il percorso dei due corsi d’acqua, fino ad assumere l’aspetto attuale. Il Brenno nella regione di Biasca – Pollegio sarà modificato in modo importante del tratto dalla Büzza fino alla confluenza con il Ticino. Sul riale Vallone gli interventi in passato hanno riguardato: a) la protezione dell’abitato di Biasca, con arginature sul versante sinistro; b) la protezione della via di comunicazione per la valle di Blenio. Di a) non parliamo qui. Su b) notiamo che l’intervento più significativo riguarderà la ferrovia Biasca-Acquarossa (promossa da chi mise in attività la fabbrica della Cima Norma di Dangio), con la costruzione (nel 1911) della galleria tuttora esistente. La strada, al contrario, riceverà deboli attenzioni a causa dello scarso traffico esistente fino agli anni Cinquanta e della relativa impossibilità di impedire al riale di invadere regolarmente il campo stradale con detriti, durante le alluvioni. Il Ponte Rosso è stato infatti per tanto tempo considerato un ponte “provvisorio” (è stato per questo a lungo in legno) nella misura in cui non si riusciva a proteggerlo in modo sicuro dalle periodiche frane e detriti alluvionali che il riale trascinava a valle ogni volta che l’intensità delle piogge superava un certo livello.
Abbiamo mostrato tutto questo per poter sottolineare un’evidenza, di cui poco o nulla si è detto finora quando si parla di questo luogo: la Büzza di Biasca aveva creato una situazione geo-morfologica particolarissima per cui il corso del Brenno e quello del riale che scende dal Crenone hanno sempre presentato rischi particolari per il territorio abitato proprio a causa della presenza di quel gradino nel profilo della valle e di quel materiale depositato sul fondo valle (tale da creare un canalone dritto e lungo più di 1500 metri lungo il quale il materiale che regolarmente scende dal Crenone può essere convogliato in massa dalle acque quando queste raggiungono una determinata forza e intensità). Ecco perché dobbiamo dire che i problemi del Brenno e del Riale Vallone formano un problema unico, e non possono essere equiparati, nella loro specificità, a nessun altro posto in Ticino (anche se è evidente che esistono altri siti in cui il pericolo oggi è altrettanto grande) proprio per la particolare conformazione del territorio alpino, per il regime delle precipitazioni e per i mutamenti climatici in atto. Veniamo ora agli avvenimenti importanti a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, che sono gli anni che vedono anche da noi una crescita dell’urbanizzazione al di fuori di quelli che erano stati perimetri tradizionali degli abitati. Questa crescita in molti casi creerà la necessità di modificare dei corsi d’acqua per poter garantire una sicurezza. Nel febbraio 1977 le Strade nazionali sono obbligate da una protesta di cittadini di Biasca a modificare il progetto previsto per l’autostrada relativo allo svincolo per la valle di Blenio e per Biasca. Il progetto di massima pubblicato nel 1970 prevedeva un’uscita su Biasca e la Leventina che si inseriva sulla strada cantonale all’altezza della frazione del Ponte, in via Gottardo; e una uscita per la circonvallazione per la valle di Blenio che costeggiava il tratto del fiume Brenno sul versante sinistro, in territorio di Biasca, fino alla zona Fracett e dei “Prevostür”, e da qui alla zona del ponte Rosso. Questo tracciato, a seguito delle proteste, veniva poi modificato in modo da portare l’uscita per Biasca e Leventina su Pollegio (Pasquerio ) e facendo continuare la circonvallazione per la valle di Blenio sul versante destro del Brenno, un centinaio di metri a nord della confluenza dei due rami del Brenno, in zona Fracett, dove la strada cantonale attraverserà il Brenno con un ponte a una sola campata, continuando poi verso nord con la costruzione dell’attuale Ponte Rosso, abbassando la quota della strada cantonale portandola più vicina al fiume Brenno.
Dopo questi lavori ecco come si presenterà la situazione. L’abolizione del Ramon aveva portato tutte le acque in caso di piena su un ramo solo del fiume, ciò che creerà una situazione di maggior pericolo di erosione e rottura degli argini in due punti, uno su Pollegio e l’altro su Biasca (i 2 cerchi sull'immagine). Di questo vedremo più avanti.
Questa decisione, (approvata dall’Ufficio federale delle arginature, competente per qualsiasi modifica di un corso d’acqua), fu poi contestata inutilmente da diverse parti per i problemi che creava rispetto alla dinamica delle acque del Brenno in quel punto. ( v. più avanti ) Per capire l’importanza di questo fatto bisogna però fare un passo indietro nel tempo. Notiamo innanzitutto un particolare importante: il ramo chiamato “Ramon” (sulla destra nella cartina) era stato, nel tempo, il ramo principale del fiume (da qui il suo nome), ed era invece poi stato trasformato ( nel corso del ‘900 ) nel ramo che entrava effettivamente in funzione solo durante le piene, quando l’acqua superava un determinato livello. Per buona parte dell’anno nel Ramon c’era poca o nessuna acqua, mentre il ramo che scendeva sulla destra, rasentando le rocce della montagna e creando quella curva con forte angolazione sul territorio di Pollegio, diventerà il ramo del Brenno entro cui scorrerà la maggior parte delle acque. (in alcune carte topografiche addirittura il Ramon non era segnalato, trattandosi di un corso d’acqua per la maggior parte del tempo asciutto). Questa dinamica delle acque in quel punto non era però frutto del caso, ma di una scelta deliberata degli ingegneri che nei primi anni del Novecento avevano progettato e diretto i lavori di costruzione degli argini sinistri del Brenno fino alla confluenza con il Ticino, lavori che avevano messo in sicurezza per quasi un secolo tutta la zona di Biasca e Pollegio interessata, e in particolare l’abitato della frazione del Ponte a Biasca. La scelta di lasciare due rami al fiume Brenno era stata determinata essenzialmente da quanto abbiamo scritto sopra: la forte pendenza che le acque del Brenno hanno assunto in quel punto, a seguito della caduta del Monte Crenone nel 1512. Per superare quel punto alla base della Büzza le acque dovranno da quel momento superare un dislivello di ca. 47 metri, passando dalla quota di ca. m. 350 (al ponte di Loderio) alla quota 303 ca. della zona Fracett ( punto in cui nel 1993 gli argini del Brenno cederanno) su un tratto di ca. 2 km, con una pendenza media del 2.5%, più che doppia rispetto alla pendenza che il Brenno ha nel percorso Malvaglia Ronge – Loderio.
Sarebbe oltremodo significativo poter ricostruire nel tempo tutte le trasformazioni che il percorso del Brenno ha subito dal 1515 all’inizio del Novecento, potendo ricostruire una cartografia di questi cambiamenti sul territorio. Sarebbe un lavoro di ricerca storica, che dovrebbe poter partire dai primi documenti posteriori alla Büzza del 1512. Qui possiamo solo indicare l’utilità di una simile ricerca. Tuttavia possiamo almeno vedere come si presentava il percorso del Brenno in quel punto nella seconda metà dell’Ottocento. Questo ci sembra sufficiente per evidenziare quanto vogliamo dimostrare: quando furono costruiti gli argini fu anche modificato l’assetto che il fiume aveva in quel punto, e fu definito un nuovo percorso che teneva conto della particolare conformazione del tratto tra Loderio e Biasca, cercando di imbrigliare la grande forza delle acque, causata dalla forte pendenza. Questo significa che per ridurre l’aumentata possibilità d’erosione delle acque sugli argini (nei punti di maggior impatto) fu necessario escogitare accorgimenti che ne limitassero la forza. Questi accorgimenti furono essenzialmente due:
Questi due accorgimenti hanno funzionato fin quando non saranno introdotti cambiamenti, che modificheranno l’equilibrio della dinamica delle acque del Brenno in quei due punti. Il primo cambiamento, a seguito della decisione del comune di Pollegio di urbanizzare la zona di Pasquerio, fu l’eliminazione dell’apertura negli argini che permetteva lo sfogo delle acque, di fatto confermata durante i lavori per la circonvallazione, con gli argini leggermente innalzati in quel punto. Il secondo cambiamento (del 1978) fu l’abolizione del Ramon. A seguito di queste due scelte tutte le acque del Brenno furono convogliate in un solo ramo e obbligate ad impattare sugli argini verso Biasca senza più alcuna limitazione della loro forza. Tutto quanto abbiamo qui ricordato avrebbe dovuto essere conosciuto da chi decise nel 1978 l’abolizione del Ramon. Sta di fatto che, quando il Comitato degli abitanti del Ponte, costituitosi subito dopo gli avvenimenti del 1993 (v. più avanti) scriverà all’Ufficio arginature del Dip. fed. dell’ambiente, chiedendo se quell’ufficio avesse autorizzato l’abolizione del Ramon, non riuscirà per ben due volte ad ottenere risposta per il sì o per il no, lasciando in tutti noi la netta impressione che vi fosse qualcosa da nascondere. Gli avvenimenti successivi confermeranno purtroppo questa impressione. Ricordiamo che, dopo l’abolizione del Ramon, durante la prima piena, lo sbarramento costruito a nord fu subito spazzato via dalla forza delle acque (1978), di conseguenza (per poco tempo) il Ramon fu in grado di riprendere la sua funzione e non vi furono altri danni. Lo sbarramento fu però immediatamente ricostruito, più largo e più alto. Questo fatto è stato del tutto ignorato nel valutare quanto successo poi con l’alluvione dell’ottobre 1993. E ora veniamo a quanto è successo nell’ottobre 1993. Dopo circa una settimana di pioggia intensa in tutta la regione e in valle di Blenio, la sera del 12 ottobre, verso le 18.00, una prima frana trasportata a valle dal riale Vallone invadeva e chiudeva la strada cantonale al Ponte Rosso. La frana farà tre feriti fra gli utenti della strada. (vedi filmato TSI da Falò su loro testimonianza nel 2008). Per diverse ore, fino a notte, furono presenti sul luogo persone e mezzi, e subito cominceranno i lavori per lo sgombero della cantonale. Il Messaggio municipale al CC del 13 dicembre 1993 ricostruirà in dettaglio gli avvenimenti. Da ricordare qui per inciso che in quel momento la strada cantonale al Ponte Rosso già si trovava nella posizione attuale, cioè a sinistra ( in direzione nord ) del tracciato della vecchia ferrovia. Come qui si intravede nella foto con a destra la ex galleria ferroviaria tuttora esistente e praticabile per le auto a una sola corsia. Rammentiamo invece che, prima dei lavori sulla circonvallazione e della costruzione del ponte attuale, la strada cantonale era situata a destra e più in alto, come si vede nella carta topografica La frana del 1993 (che risulterà simile a quella del 2006) era stata prevista nello studio/perizia di Piercarlo Pedrozzi (idrogeologo) consegnato al Municipio di Biasca il 20 0ttobre del 1992. Il comune di Biasca, prima dell’alluvione dell’ottobre 1993, si apprestava ad intervenire per dar seguito alle conclusioni di quella perizia, ed è purtroppo arrivato tardi. Ma gli elementi conoscitivi su cui riflettere per quanto riguardava i pericoli causati dal riale Vallone erano già stati posti tutti in evidenza. Alla luce degli avvenimenti successivi non si può non chiedersi come mai quella perizia non è stata presa seriamente in considerazione dai responsabili cantonali e federali, dopo i fatti dell’ottobre 1993. Vedremo più avanti che, nei tre anni successivi (1993- 1996) il tentativo del Municipio di portare l’attenzione del Cantone sulla necessità di un intervento decisivo su questo problema era naufragato di fronte alla decisione del responsabile della Divisione delle costruzioni ing. Carlo Mariotta (avallata a livello federale) il quale firmerà, insieme all’on. Borradori la lettera del Dipartimento del Territorio al Municipio di Biasca del 18 dicembre 1996, che metteva fine alle discussioni,concludendo che il progetto presentato allora dall’ing. Augusto Filippini, commissionato dal Comune, non poteva essere realizzato anche perché la strada sottostante non aveva un valore tale da giustificare l’investimento. Ma per comprendere appieno il significato (e la gravità) di quella decisione e delle sue implicazioni (di cui diremo più avanti) dobbiamo occuparci ora dell’altro grave avvenimento che colpì Biasca e la frazione del Ponte. Alle 22.30 di quella sera del 12 ottobre gli argini in zona Fracett vengono divelti dalle acque, e il Brenno allaga l’intera frazione del Ponte, e tutto il territorio delimitato dallo Stradone vecchio a est e dalla via Iragna a sud. Il signor Ariano Corti, che abitava proprio vicino al fiume, viene travolto e muore annegato mentre tentava di rientrare in casa con il suo cane che aveva cercato di salvare dalle acque. La morte di Ariano Corti sarà oggetto di una incredibile manipolazione. Malgrado che (ma noi lo sappiamo per certo solo oggi!) l’autopsia avesse stabilito che egli era morto per annegamento, immediatamente dopo il fatto era stata fatta circolare la voce che egli fosse deceduto a causa di un infarto, voce poi avvalorata dal consigliere di Stato Respini e dalle dichiarazioni del segretario comunale e capo della polizia comunale. Questo fatto sarà all’origine di una denuncia pubblica della figlia di Ariano, Jvonne Corti, pubblicata su Libera Stampa del 26 ottobre 1993, dove venivano descritte le circostanze della morte del padre. Perché dare spazio a questa notizia, oggi, a 14 anni dai fatti? Perché suggerisce ( al di là del suo evidente cinismo ) l’esistenza di un goffo tentativo di avvalorare l’idea che la morte di Ariano Corti non sia stata causata dalla rottura degli argini del Brenno. Questo tentativo ha allontanato l’idea di dover cercare un nesso tra la sua morte e una possibile responsabilità oggettiva per interventi precedenti effettuati sul fiume (in questo caso da parte del Cantone), responsabilità a cui la famiglia Corti avrebbe potuto rifarsi per chiedere l’apertura di una inchiesta e un eventuale risarcimento. Il dato di fatto è che, non solo questo non è avvenuto, ma si è invece introdotto, per giustificare la rottura degli argini, una spiegazione causale che ha spostato altrove l’origine del problema, sostenendo che tutto sarebbe stato provocato dalla serra sul Brenno che la frana sul riale Vallone avrebbe creato in zona Ponte Rosso. La tesi della serra sul Brenno non è mai stata ufficialmente formalizzata in un documento d’analisi del Cantone. A una nostra recente richiesta di poter visionare i documenti di analisi del 1993 e del 2006 il CdS ha recentemente risposto (dopo che ci erano stati promessi dal DT) che questi documenti non possono essere dati perché ora essi farebbero parte del “segreto istruttorio” della causa in corso. Il che è sorprendente se si considera che l’avvocato di parte civile non ha mai chiesto di allegare agli atti questi documenti. Allo stato attuale delle cose possiamo dubitare della loro esistenza. Sta di fatto tuttavia che la tesi della serra sul Brenno è stata esposta in forma ufficiale solo in un documento pubblico come il MM del comune di Biasca del 13 dic. 1993, e poi confermata nel MM del 1997, senza che mai siano state portate delle prove a dimostrazione del fatto. Come si può vedere, l’estensore del Comune si limita a ipotizzare il fatto senza poter indicare prove a sostegno. Esistono però due fatti accertati che mettono fortemente in dubbio la possibilità che la serra sul Brenno si sia verificata, e sono da una parte l’ora di caduta della frana (18.00) e dall’altra l’ora della rottura degli argini del Brenno (22.30 – 22.40). Questo significa che durante più di 4 ore il Brenno dovrebbe essere stato chiuso formando a monte un accumulo tale da creare una specie di lago (abbiamo calcolato che, con i dati registrati dal limnigrafo di Loderio, è ipotizzabile un accumulo di circa 7 milioni di mc d’acqua a monte della zona del Ponte Rosso). Perché questo fatto non ha alcuna documentazione a sostegno ? Sta di fatto però che questa era la tesi che si è sostenuta in seguito e che il comune di Biasca ha dovuto far propria quando il CC fu chiamato ad approvare i crediti per i lavori sul Brenno e sul riale Vallone (1997). Questa è la tesi che viene oggi ribadita dalla Divisione costruzioni del DT. Ma se ora torniamo a valutare la decisione del 1996 del DT per quanto riguarda il riale Vallone, quando fu rifiutato il primo progetto presentato dall’ing. Augusto Filippini per il Comune di Biasca, la domanda che oggi ci poniamo è: “Come mai l’obiettivo di impedire la serra sul Brenno non fu menzionato e nel rifiutare il progetto ci si limitò ad affermare che la strada cantonale “non rappresenta un bene tale da giustificare progetti di più ampia portata”. In altre parole: se la serra sul Brenno aveva causato la rottura degli argini del Brenno, perché l’argomento per rifiutare il progetto Filippini è stato quello dello scarso valore della strada cantonale (in quanto manufatto) e non invece quello dei danni provocati dalla rottura degli argini del Brenno che in quel momento erano già quantificabili per la maggior parte)? Dunque qui siamo di fronte a una decisione incomprensibile, e l’argomento del costo eccessivo dell’opera appare oggi pretestuoso e in contraddizione con le analisi fatte sugli effetti della frana del riale Vallone. Esisteva una perizia precedente (ing. Pedrozzi) che aveva individuato il pericolo della massa di detriti che poteva abbattersi sulla strada e sul fiume, (e questo già si era verificato). Ed esisteva anche quanto era successo sul Brenno alla frazione del Ponte. Come si poteva sostenere che il rapporto costi/benefici non era accettabile? Rammentiamo che questa decisione ebbe l’avallo anche della Confederazione (bisognerebbe conoscere oggi il contenuto di quelle decisioni federali 779 e 782 che venivano citate nella lettera del DT al Municipio dic. 1996, che figuravano come allegati)
Ma a questo punto dobbiamo ricordare che solo grazie all’insistenza del Municipio di Biasca, alcuni anni dopo questo rifiuto le autorità cantonali e federali accettarono di riconsiderare il progetto e di riesaminare la proposta presentata dall’ing. Augusto Filippini, modificandola. Questi fatti sono stati descritti nel MM no. 59 / 2006 del 21 novembre 2006, presentato per la richiesta del finanziamento del progetto attualmente in corso di realizzazione sul riale Vallone. Questa descrizione ci trova d’accordo solo in parte, nella misura in cui non menziona i motivi del rifiuto del DT rispetto al primo progetto Filippini. Tuttavia questa divergenza non ci impedisce di sottolineare che solo grazie alle scelte dell’autorità locale si è giunti finalmente a realizzare un progetto che, con tutti i limiti che possa avere, permetterà di migliorare il grado di sicurezza sulla cantonale al Ponte Rosso, anche se (a nostro avviso, ma non solo) non potrà risolvere al 100 % il problema, ragione per cui abbiamo sostenuto l’utilità della costruzione per il futuro di una galleria al Ponte Rosso. Questione che oggi ci permetterà di affrontare più da vicino il tema della sicurezza in questi luoghi. Noi lo faremo valutando in dettaglio i lavori in corso sul riale Vallone, esaminando le caratteristiche dei diversi progetti presentati dall’ing. Augusto Filippini negli anni e ragionando sulle prospettive future, tenendo conto di quanto sta cambiando nel clima e nel regime delle precipitazioni.
E ora veniamo ai fatti del 3 ottobre 2006 al Ponte Rosso, che dopo la morte di Laura come sapete sono oggetto di una causa civile in corso. Per questa ragione qui noi non esprimeremo giudizi di merito a proposito di responsabilità oggettive o meno, e neppure parleremo di quanto avrebbe potuto essere fatto per evitare la tragedia. Vogliamo però comunicare che su quei fatti avevamo redatto all’inizio del 2007 un documento che è stato sottoposto alle autorità e alla Procura. Indicheremo invece alcuni fatti incontestabili che servono ad inquadrare quanto è successo in una visione più globale, fatti che avranno un significato importante per le prospettive future della sicurezza in questi luoghi. La prima osservazione riguarda la novità che quell’alluvione ha presentato rispetto al passato: l’intensità delle precipitazioni concentrate in un breve lasso di tempo di alcune ore. Ciò ha sviluppato sulle acque del riale un forza tale da spostare massi giganteschi, di cui uno resterà il simbolo di quell’avvenimento: più di 700 tonnellate di peso spostate dall’intensità delle acque. Ci diceva l’ing. A.Filippini che mai egli ha visto finora una forza così grande sviluppata dalle acque su quel riale, tanto da poter dire che dopo l’alluvione del 2006 siamo di fronte ad una situazione nuova, che ci preannuncia quello che potranno essere le alluvioni di domani: precipitazioni di breve durata ma di forte intensità, tali da smuovere e spostare detriti alluvionali con modalità diverse dal passato, modalità che prima non erano ipotizzabili sulla scorta delle esperienze passate. È implicito che oggi un progetto di premunizione come quello sul riale Vallone dovrebbe forzatamente tener conto di questo. Riassumendo: dopo quanto detto sul profilo di questo torrente, sulla pendenza e dimensione del tratto, sul dislivello che le acque superano e sul tipo di materiale, fine e grosso, che il Crenone convoglia regolarmente a valle, crediamo di poter affermare che proprio i mutamenti climatici in atto saranno all’origine di pericoli nuovi e diversi, difficilmente valutabili e prevedibili con i parametri del passato. La seconda osservazione riguarda le conseguenze che simili eventi dovranno avere sui sistemi di allarme in situazioni di emergenza improvvise. Come si è visto nel caso del 3 0ttobre a Biasca, i pericoli si sono prodotti in tanti luoghi contemporaneamente, ciò che ha messo in crisi i sistemi d’intervento rapido esistenti. Ma soprattutto l’evento ha sorpreso tutti non tanto perché non è stato previsto, ma proprio perché ha raggiunto in breve tempo intensità ed effetti che richiedevano risposte e decisioni più rapide, per evitare danni a cose e persone là dove era possibile. E con questo dobbiamo guardare a come sono organizzati i servizi per interventi d’emergenza, e soprattutto come sono strutturati sul terreno, dove un organismo locale dovrebbe avere facoltà chiare e definite per decidere autonomamente interventi straordinari (quali la chiusura temporanea di una strada o l’evacuazione di un quartiere .) La terza osservazione riguarda le indicazioni che si devono poter trarre da avvenimenti come quelli dell’ottobre 2006, per quanto riguarda i criteri da applicare per concepire, progettare e finanziare le opere di premunizione. E qui entriamo nel merito di una grossa questione, che è all’origine delle attuali divergenze che abbiamo riscontrato con i responsabili del DT in un recente colloquio. Come avete potuto capire nel caso della proposta di galleria al Ponte Rosso, l’unico criterio che viene avanzato e utilizzato è quello della valutazione del rischio, effettuata con il calcolo delle probabilità. Ci si dice che questo è richiesto da Berna per poter finanziare qualsiasi progetto. Ebbene, noi non vogliamo discutere della fondatezza o meno di questo sistema di calcolo (anche se quando è l’unico criterio usato dimostra tutto il suo semplicismo eil cinismo implicito di cui è portatore, per cui il valore di una vita è sempre commisurato solo e unicamente al costo dell’investimento economico necessario a proteggerla ). Vogliamo però, e con forza, sottolineare che proprio sul piano del calcolo economico questo sistema di ragionamento mostra tutta la sua debolezza. Ed è proprio guardando a quanto è successo dappertutto negli ultimi anni ( con l’aumento dei danni diretti e indiretti provocati da catastrofi naturali legate al clima) che possiamo dire questo. Nel caso che qui discutiamo (un corso d’acqua con una potenzialità distruttiva accresciuta proprio dai mutamenti climatici ) la domanda da fare è: ma quanto sono costati e costeranno tutti gli interventi effettuati per far fronte ai danni provocati dalle alluvioni (dove sono le cifre?) se li calcoliamo sull’arco di un periodo medio di 20 – 30 anni? Non è forse vero che in casi come questi vale il principio del “chi più spende, meno spende”? Investire in una opera che domani ci permette di non continuare a pagare per costi di sgombero e rinforzi di sedimi stradali non è forse un modo di far risparmiare denaro alla comunità ? Nel caso del Vallone, non è forse evidente che comunque domani si sarà sempre confrontati con la necessità di una costante manutenzione e pulizia della vasca di captazione del materiale, pena l’inutilità stessa del manufatto edificato? Non sarebbe più “economico” investire in un’opera di protezione degli utenti della strada che permetta alle acque del riale di depositare a valle il materiale trasportato, appaltando poi regolarmente lo sgombero di tale materiale, proprio alle ditte che sono attive alla Büzza nell’estrazione e trasformazione dei materiali per l’edilizia, in modo da ammortizzare i costi annualmente con gli introiti dell’appalto? Ma chi dovrebbe e potrebbe gestire tale operazione? CONCLUSIONE Da ultimo invitiamo a guardare attentamente questi grafici che ci mostrano quale è stato l’andamento medio del livello delle acque del Brenno negli anni tra il 1993 e il 2006. E quindi delle precipitazioni. Il fatto che balza all’occhio è l’estrema variabilità del regime delle acque in questo periodo, tale per cui nessun anno assomiglia veramente all’altro. Tale variabilità ci parla della difficoltà di prevedere oggi quanto succederà domani. Sarà sempre più necessario ragionare su questa imprevedibilità e sulle conseguenze pratiche per le opere di premunizione. Come si vede, negli ultimi anni il livello delle acque si è notevolmente abbassato. Aumentata è invece l’intensità delle precipitazioni brevi.
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